Coaching: Ezio Bosso
Il maestro che ci insegna tantissimo

Ci addolora la notizia (15.05.2020) della morte di un uomo che ci insegnava, giorno per giorno, a non mollare mai.

Ezio Bosso, il maestro che non ha mai smesso di sorridere.

“La prima cosa che farò è mettermi al sole. La seconda sarà abbracciare un albero”. Dalla sua casa di Bologna, Ezio Bosso stila i propositi per quando ‘si apriranno le gabbie’ (riferito al lockdown causato da covid19/ndr). Purtroppo non sarà così. Ezio Bosso è mancato. Direttore d’orchestra, compositore e pianista, Ezio Bosso era nato a Torino il 13 settembre 1971. Aveva 48 anni.

Bosso conviveva ormai dal 2011 con una malattia neurodegenerativa che gli fu diagnosticata subito l’intervento per un tumore al cervello a cui fu sottoposto lo stesso anno; ma era una persona molto speciale. Intelligentissima, sensibile, sapeva trasmettere la passione per la musica e per la vita. Lascia un grande vuoto. "La musica ci cambia la vita e ci salva. La bacchetta mi aiuta a mascherare il dolore e non è una cosa da poco".

"Ascoltate Cajkovskij ad alto volume: l'arte e la bellezza sono contagiose"

La sera di Natale Bosso era tornato su Rai 3 per suonare Cajkovskij e Mozart. "Ascoltate a tutto volume il nostro concerto, dobbiamo disturbare i vicini e riempire l'Italia di questa musica meravigliosa. La nostra forza sarà la televisione, ma non in casa, deve uscire dalle case. L'arte e la bellezza sono contagiose: così cambieremo il mondo".

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Aveva un entusiasmo contagioso. Era diventato popolarissimo quando nel 2016 fu invitato da Carlo Conti come ospite d'onore al Festival di Sanremo. Sul palco dell'Ariston Bosso eseguì Following a bird, composizione contenuta nell'album The 12th Room, che dopo quell'esibizione, applauditissima, finì subito in classifica. "Sul palco sono senza spartito, faccio tutto a memoria. Quando dirigo è come se avessi tutti i suoni scritti, primi e secondi violini, violoncelli, bassi, flauti, oboi, clarinetti, fagotti, corni, trombe, tromboni, percussioni, io li ho davanti, per me è un contatto visivo, dirigere con gli occhi, con i sorrisi, mando anche baci quando qualcuno ha fatto bene".

Spiegava come fosse stato difficile essere accettato nel mondo della musica classica e dei pregiudizi "perché guardavano la malattia: è evidente, non è che posso negarlo. Ho combattuto il pregiudizio. Fin da bambino ho lottato col fatto che un povero non può fare il direttore d'orchestra, perché il figlio di un operaio deve fare l'operaio, così è stato detto a mio padre". 

Lo studio come riscatto, la passione che lo guida e gli fa vincere anche il dolore. "Ho avuto paura anche delle 'mazzate' che mi sono preso, ho preso schiaffoni perché sono una persona normale. 

Il nostro entusiasmo, la nostra voglia di fare, però, alla fine, diventa un contagio. Mi auguro una pandemia di voglia di fare. Dirigere la Patetica è una delle direzioni più difficili che esistano. Credere nella musica non è unicamente un processo di allegria ma è un processo faticoso che, a volte, ti consuma. Lasciarsi guidare dalla musica è anche un gesto di umiltà, riconosci la grandezza dell'altro e diventi grande insieme a lui".


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