Un’intervista di Francesca Grispello con il filosofo del pop Claudio Sottocornola è imperniata su quante siano le canzoni - pop, rock e d’autore italiane - che parlano di animali. Certamente centinaia, ma alcune sono più impresse nella memoria di altre, perchè racchiudono sentimenti elementari ma straordinariamente capaci di toccare corde sensibili nell’ascoltatore. Testi scanzonati, titoli impossibili o frasi che invece sanno raccontare quante emozioni gli “amici” dell’uomo sanno regalare a noi e ai nostri cari.
Ogni espressione artistica, infatti, traduce sentimenti ed emozioni che appartengono a tutti noi e, se una parte non indifferente del nostro patrimonio musicale ci parla di cani, gatti, cavalli, volatili e farfalle, ciò vuol dire che essi fanno parte del nostro vissuto più intimo, in qualche caso dei nostri affetti più cari.
Forse pochi sanno che l’autore italiano più costante nel parlare di cani, specie se randagi e abbaianti, è Francesco De Gregori. Viene subito in mente una citazione per tutte, da L’uccisione di Babbo Natale, tratta dall’ album ‘Bufalo Bill’ del 1976, dove si canta: “…le nuvole passano dietro la luna/ e da lontano sta abbaiando un cane”. Ma si potrebbero ricordare anche Quattro cani, dall’ album ‘Rimmel’ del 1975, a proposito della quale ribadisce l’autore “chi mi conosce sa che io ho sempre avuto un grande amore per i cani, in particolare i randagi, e quella è una canzone che parla di loro”, e poi ancora Mimì sarà del 1987 (Sarà che tutta la vita è una strada con molti tornanti,/ e che i cani ci girano intorno con le bocche fumanti), o La casa del 2006 (E ci faccio quattro porte/ per i punti cardinali/ che ci possa entrare il cane/quando sente i temporali), solo per accennare alla cinofilia di De Gregori.
Che però ci regala anche un quadretto felino non indifferente in Alice del 1973: “Alice guarda i gatti e i gatti guardano nel sole/ mentre il mondo sta girando senza fretta…” o ancora una copertina con la famosa “pecora”, immagine difficile da decifrare come molti brani di quell’album omonimo uscito nel 1974. Più in generale direi flash minimalisti, lirici e affettivi di un repertorio della memoria, in cui gli animali hanno un posto, e anche il circo de La donna cannone del 1983.
Parla del “migliore amico dell’uomo” anche Angelo Branduardi, nel 1981: mette in musica La cagna, adattamento di una poesia del 1915 del russo Sergej Esenin, che rappresenta una terribile denuncia della crudeltà umana, narrando in modo fiabesco e struggente la soppressione di cuccioli appena nati, annegati nell’acqua di una gelida notte invernale dall’uomo che li sottrae alla madre: “…sopra lo stagno la luna guardava/ la cagna bianca che non capiva”. Di Branduardi come non citare anche l’emblematica Alla fiera dell’Est, mosaico zoofilo (topo, gatto, cane, toro) che si intreccia con figure umane (macellaio) e simboli quasi esoterici (acqua, fuoco) che portano all’apice rappresentato dalla divinità.
In Renato Zero troviamo Il pelo sul cuore, del 2000, sui cani randagi e abbandonati nei canili (Mio Dio le botte…/ senza un pedigree/ non sei nessuno qui), mentre Escluso il cane di Rino Gaetano (1977) ironicamente ribadisce “ma togli il cane/ escluso il cane/ tutti gli altri son cattivi/ pressoché poco disponibili”.
Come non ricordare la citazione di Antonello Venditti in Dimmelo tu cos’è del 1982, scritta dal cantautore romano in occasione della separazione dalla moglie Simona Izzo, a testimoniare il senso di spaesamento e di vuoto lasciato dalla fine del rapporto: “Il nostro cane non mi riconosce più,/ altri profumi, altre valigie da portare giù,/ cerco le chiavi di casa ma questa non è casa mia, più mia…”. Qui il cane è quasi umanizzato, parte integrante della storia, e della sua fine.
(Stralci dell’intervista di Francesca Grispello a Claudio Sottocornola, vedi: http://www.lisolachenoncera.it/rivista/interviste/canzoni-e-animali-amici-delluomo)
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